LE NOTE SPIRITUALI DI LISZT NELLA MAGIA DELLA CITTA’ ETERNA

di:
Raffaele Mellace

È paradossale che la più effimera fra le arti, destinata a esaurirsi con il dissolversi del suono, sembri invece restia ad abbandonare gli spazi in cui ha risuonato. Ne sono convinte le edizioni Timía, non a caso specializzate in libri di architettura, che hanno avviato una collana a cura di Gastón Fournier-Facio dedicata ai luoghi abitati da grandi musicisti. I due volumi usciti finora, se condividono formato e filosofia editoriale, sono in realtà oggetti molto diversi. Da un Iato, li accumunano il formidabile apparato fotografico e iconografico, la cura e l’eleganza tipografica, l’aspirazione a offrire una visione esaustiva. Battono però strade separate.

Il primo, pubblicato nel 22, è dedicato a uno spazio che il compositore tedesco Hans Werner Henze, ha amorevolmente progettato e allestito apparentemente come buen retiro, realizzando in realtà uno straordinario hub culturale, un crocevia di esperienze intellettuali che pare conservare l’energia sprigionata della compagnia internazionale che l’ha attraversato. Villa La Leprara, nei Castelli Romani, si configura infatti come un tempio di ospitalità e cosmopolitismo, in cui le raffinate scelte degli onnipresenti quadri e libri (7mila) si offrono allo sguardo e a loro volta osservano, à la Baudelaire, gli ospiti, accolti in spazi che incutono quasi timore, come il salone con gli opera omnia di Wagner, Schönberg e Stravinskij, e i due Steinway affiancati che nemmeno Antonio Pappano ha osato suonare.

Ripropone questi ambienti (anche a futura memoria, ora che la villa ha un nuovo proprietario), perpetuando gli usi del padrone di casa, gran maestro di cerimonie dall’inesausta curiosità, il ricchissimo servizio fotografico di Anton Giulio Onofri, che non trascura ulivi, grotte e cucine.

L’altro volume, più complesso e bilingue, affidato alle competenze complementari di una storica dell’arte e di una musicista, rispettivamente Waldrudis Hoffman e Barbara Pfeffer, documenta la presenza a Roma di un illustre compositore romantico. Franz Liszt vi trascorse, in quello che a un certo punto si configurò come un triangolo Weimar-Roma-Budapest, l’ultimo quarto di secolo della sua straordinaria parabola esistenziale, muovendosi tra una decina di luoghi assai diversi, nei decenni sui due versanti di Porta Pia. Stabilitosi nella città Eterna ancora saldamente papalina all’indomani dell’Unità (ottobre 1861), la saluterà per l’ultima volta a sei mesi dalla morte, nel gennaio 1886.

Luogo di fitti rapporti artistici (vediamo Liszt a Villa Medici suonare con il pittore Ingres, violinista dilettante, e dialogare con il giovane Debussy), Roma è anche lo sfondo di una vicenda personale drammatica, segnata dal fallimento del progetto matrimoniale con la principessa Carolyne von Sayn-Wittgenstein di cui il compositore resterà amico fino alla morte, quasi contemporanea, di entrambi, e dagli eventi propiziati dalla morte, a vent’anni, del figlio Daniel, che proprio a Roma era nato. La profonda crisi spirituale che investì il musicista lo indusse a prendere gli ordini minori, un ministero laico senza obbligo di celibato: «sono sempre lo stesso», risponderà l’uomo di mondo davanti allo stupore dei suoi interlocutori, ma intanto da allora (1865) comparirà, anche in concerto, esclusivamente in abito talare. A questa nuova, sorprendente silhouette del Liszt della maturità corrisponde una serie di luoghi illustri che l’ospitarono variamente: due anni al Monastero della Madonna del Rosario a Monte Mario, cinque come canonico di S. Francesca Romana al Foro, la basilica del X secolo prospiciente l‘Arco di Tito, appartamenti in Via del Babuino, Via dei Greci e Via Sistina, l‘Hotel Alibert in Via Margutta, ma soprattutto l’appartamento al II piano del Palazzo Apostolico in Vaticano, concessogli dall’elemosiniere di Pio IX, il cardinale tedesco Gustav von Hohenlohe. Cattolico liberale, il cardinale è, insieme alla Sayn-Wittgenstein, il personaggio centrale di questa vicenda, cui va anche il merito d’aver ospitato Liszt a villa d’Este a Tivoli, la splendida residenza rinascimentale, dal 2001 patrimonio dell’Unesco, dove il compositore si recherà una o due volte alla settimana per oltre vent’anni, stipato tra i locali in uno scomodo omnibus a cavalli. Com’è noto, la villa, con il parco e il giardino decorato da statue e vasi provenienti dalla Villa di Adriano, costituì una straordinaria fonte d’ispirazione per Liszt, che ai suoi cipressi che «cantano e piangono» dedicherà musica memorabile: musica che viene voglia di ascoltare ad ogni voltata di pagina, esortati anche dai puntuali suggerimenti di specifiche incisioni dei molti lavori lisztiani composti, avviati o terminati a Roma e a Villa d’Este.

fonte: IlSole24ore, 25/2/2024