Isolamento, identità, globalizzazione

di:
Gabriele Tomasi

Al giorno d’oggi il Giappone occupa il terzo posto sul podio dei Paesi più industrializzati al mondo. Nella sola Grande Area di Tokyo si stima un PIL pari a 2.200 $ miliardi. Il processo di industrializzazione è stato frutto delle scelte politiche degli ultimi due secoli, che hanno trasformato profondamente tanto le strutture economiche quanto i tratti identitari del Paese. Di questi cambiamenti si ha traccia ne L’attacco dei giganti, manga giapponese di genere dark fantasy, scritto e disegnato da Hajime Isayama. Dall’opera è stata tratta l’omonima serie tv anime, che ne ha incrementato la fama a livello mondiale.
In un mondo caratterizzato da un’ambientazione medievale, con forti connotazioni post apocalittiche, l’umanità risiede in una città-nazione protetta da tre imponenti mura circolari. Lo spazio esterno, vasto e sconosciuto, diviene il protagonista delle spedizioni dell’Armata Ricognitiva. I soldati arruolati hanno il compito di ottenere informazioni riguardo enormi creature antropofaghe, di cui sovente rimangono vittime. Ad eccezione di queste spedizioni d’avanguardia, spazio interno ed esterno sono rimasti separati per più di cento anni, garantendo così una pace duratura. Tutto cambia il giorno in cui, attaccando il Wall Maria, i giganti creano una breccia e portano nella città morte e distruzione.
La città descritta appare come un luogo conchiuso. I confini che la delimitano offrono protezione ma contemporaneamente danno l’idea di un luogo claustrofobico, di una prigione per chi lo abita. L’isolamento che ne deriva danneggia l’umanità sia impedendo la conoscenza del mondo esterno sia creando un distacco tra le varie classi sociali. Difatti, le mura regolano gli spazi a seconda di una struttura gerarchica. Se la capitale e la corte del re occupano la zona centrale e inaccessibile, i distretti delle classi abbienti sono collocati nella zona intermedia, infine le classi più umili risiedono nella zona maggiormente esposta, protetta dal solo Wall Maria. Secondo la politica tipicamente imperiale, sono queste ultime a pagare le conseguenze, a diventare vittime sacrificali abbandonate a se stesse e destinate a perire.
La figura dei giganti è ambigua ed enigmatica. Sorge spontaneo chiedersi chi siano tali creature e per quale motivo l’umanità debba difendersi da loro.
Nell’attacco è possibile leggere una metafora dell’invasione della cultura globale, che nel XIX secolo inizia a fagocitare l’identità di una nazione profondamente arretrata e chiusa a causa delle politiche isolazioniste adottate. Con il tramonto della dinastia Edo e l’adesione alla Convenzione di Kanagawa del 1854, il governo Menji attua una politica volta alla modernizzazione e occidentalizzazione, impegnandosi in rapporti commerciali con gli Stati Uniti e nell’apertura del Paese del Sol Levante.
L’umanità – e così l’identità giapponese – allo stesso modo è stata destinata all’estinzione? Oppure vi è stata una forma di resistenza che possa discostarsi dal mero istinto di sopravvivenza?
Nell’opera possiamo notare come, dopo la distruzione del Wall Maria, la popolazione superstite si sia rifugiata all’interno della seconda cinta muraria. Se in un primo momento tale scelta è data dall’istinto, successivamente offre un’occasione di riscatto. L’umanità si riorganizza, si dedica alla costruzione di macchine che possano favorire la sconfitta dei giganti o quantomeno agevolarne il confronto.
Questo è quanto avviene anche dal punto di vista storico. Da Paese produttore di riso, seta grezza e tè, il Giappone reinventa le proprie politiche economiche attuando un profondo processo d’industrializzazione. I risultati, al giorno d’oggi, appaiono più che evidenti. Seguendo tali interpretazioni, dall’autore Isayama scaturisce la figura di un figlio del proprio tempo. Il suo intento è celebrare le capacità d’adattamento del Giappone, piuttosto che lamentare tratti identitari perduti che, per forza di cose, non possono essergli appartenuti.