Da San Giorgio alla Principessa oppure, se si preferisce, più che una rotta un periplo o una crociera

di:
Luigi Ciorciolini

“La funzione dell’occhio è la funzione dell’anima”
P. Virilio

L’affermazione di Virilio è vera ed è vera in molti modi. Partiamo dall’analisi che Jean Petitot fa del quadro che Paolo Uccello dedica al combattimento tra San Giorgio e il Drago, il secondo dei due dedicati al tema, quello con il Drago sulla sinistra (J. Petitot, San Giorgio note sullo spazio pittorico, in Semeiotica della pittura, a cura di Omar Calabrese, Il Saggiatore, Milano,1980). Innanzi tutto il tema: San Giorgio è il corrispettivo cristiano di Perseo ma rispetto all’eroe greco il suo curriculum è brevissimo. Originario della Cappadocia il guerriero cristiano è sulla via di casa quando viene a sapere del rapimento della Principessa da parte del Drago. Immediatamente parte per l’impresa e l’iconografia di tutte le epoche lo rappresenta nel momento del suo trionfo sul Drago.

Il dipinto di Paolo Uccello è ripartibile innanzitutto tracciando una linea verticale a metà esatta del quadro: nella metà di sinistra si vengono a trovare la Principessa, che occupa il settore più vicino alla cornice, e il Drago e nella metà di destra San Giorgio. A ben guardare l’atteggiamento della Principessa è ambiguo, non si capisce se ha paura, se mostra i legacci alla ricerca di comprensione e libertà o invochi pietà per il Drago. L’intero lato sinistro è occupato, come sfondo alle spalle del Drago e della Dama, da una caverna che ragionevolmente è sia la sua origine che la sua tana. Questo perché il Drago è animale tellurico per eccellenza, nasce dalle viscere della terra, condividendo questa origine con tutto quello che dalle profondità oscure provengono come l’acqua, l’oro e le gemme, e da qui genera i terremoti con i suoi movimenti inconsulti. I terremoti che il Drago suscita sono reali ma anche metaforici: rapimento di principesse, siccità o alluvioni, pestilenza e carestia, gli scuotimenti sono anche sociali rivoluzioni, sommosse in una parola il portatore del Caos. Il Drago con la sua forma orizzontale appartiene al regime della dissoluzione dei legami dei riti dionisiaci.

La parte destra del quadro è occupata da San Giorgio a cavallo nell’atto di infliggere al suo nemico il colpo mortale. Dietro di lui la campagna fertile e una nuvola carica di tempesta, all’estrema destra in alto della raffigurazione, con una curiosa forma a spirale. Il terreno dello scontro, l’area antistante l’ingresso della grotta, è arido e devastato mentre il cielo è scuro con la presenza della luna che rimanda però più a un crepuscolo, al momento della sospensione tra luce e ombra, che a una scena notturna vera e propria.

Le due metà del quadro si fronteggiano come si fronteggiano i due contendenti e ogni dettaglio svolge la funzione narrativa nella storia. Al centro del quadro in basso si trova collocata la testa del Drago colpita dalla lancia di San Giorgio, impossibile non risalire lungo la lancia stessa con una diagonale che attraversa il quadro da sinistra verso destra fino al braccio del cavaliere. Ma lo sguardo, preso l’abbrivo dinamico della diagonale, non si ferma arrivando alla nuvola tempestosa a forma di spiarle immediatamente dietro San Giorgio. La spirale è il segno dell’infinito e in questo caso è metafora di Dio nero di collera, una vera Ira di Dio. La relazione creata dallo sguardo ci esplicita che San Giorgio è in missione per Dio e che è di Dio la forza immensa necessaria per colpire a morte il Drago. Improvvisamente la lettura del quadro si dinamizza con una brusca accelerazione nel tempo dell’azione ma anche nel tempo della comprensione di quello che si sta guardando. Il quadro di Paolo Uccello illustra chiaramente che gli elementi della pittura altro non sono che i risultati reali del movimento rappresentato e suggerito e della forma, della tensione e della direzione nello spazio.

Proviamo a rileggere la storia nel quadro alla luce di quanto detto: tutta la rappresentazione è organizzata per coppie di opposti: Bene contro Male; Luce/Ombra, Vita/Morte, Destra/Sinistra; Alto/Basso; Verticale/Orizzontale; Vicino/Lontano; Dicibile/Indicibile; Natura/Cultura; Realtà/Fantasia; Solare/Lunare; Cosmo/Caos … e difficilmente Paolo ’Uccello non è ricorso a queste coppie con meglio far intendere il ruolo dei personaggi e il loro portato nella raffigurazione. Queste coppie di opposizioni, che sono alla base del pensiero duale, formano quelle strutture invarianti, profonde, universali e a-temporali, che sottostanno alla lettura della realtà e alla formazione dei miti per Claude Lévi-Strauss. In breve il suo punto di partenza è che la natura della mente lavora attraverso la forma. Ogni esperienza è ricevuta in una forma strutturata, e queste forme o strutture, che sono una condizione della conoscenza, sono generalmente inconsce (come per esempio le categorie inconsce del linguaggio). Inoltre esse variano poco sia nei moderni che negli antichi. Consistono sempre nella creazione di una coppia di opposti, che si equilibrano l’un l’altro e sono disposti in modi diversi rappresentabili algebricamente.

Su queste strutture inconsce dunque noi ci appoggiamo per leggere il mondo. Quello che ci interessa qua è leggere un poco più a fondo il quadro non dal punto di vista di uno storico dell’arte ma dal punto di vista di chi abitualmente racconta storie, le racconta con le immagini, per arrivare a trovare ciò che nel tempo e nel variare delle tecnologie usate in realtà non è mai cambiato.

Intanto prendiamo atto che la Principessa non si trova nello stesso lato del quadro in cui si trova San Giorgio Se non contiamo il cavallo, che pure ha un suo valore simbolico, gli attori principali del quadro, e quindi della storia, sono quattro: Dio, San Giorgio, il Drago e la Principessa. In questa crociera, o giro lungo come lo avrebbe chiamato Frazer, ci occuperemo proprio della Principessa e lo faremo comparando storie e immagini di epoche diverse e lontane tra loro.

La prima cosa che balza agli occhi della Principessa è la sua postura ambigua: non si capisce se è prigioniera del Drago o se lo sta portando a fare i bisogni visto che il laccio è decisamente lasco.

Anche il suo atteggiamento non chiarisce se sia spaventata dalla vista del combattimento cosmico che si svolge dinanzi a lei e per lei oppure sia in ansia per la sorte del Drago. La Principessa è umana ma il suo essere umana è declinato in maniera diversa da quella, per capirci, di San Giorgio perché come ogni donna, la Principessa è portatrice delle acque della vita: il liquido amniotico che custodisce il bambino prima che nasca, il sangue che lo nutre, il latte che lo nutre dopo la nascita e infine le lacrime del compianto, della Pietà di Michelangelo, che hanno la funzione di lavare il corpo prima del rito funebre .Questo pone la Principessa tra le creature lunari (la Luna ha il potere di influire sulle maree e su ogni altra forma di ciclo, da quello femminile a quello della fermentazione dell’uva nei tini, a quello della fertilità)… Sembrano discorsi su qualcosa di lontano nel tempo ma poi scopriamo che l’altra grande macchina del racconto mitico, la pubblicità, rende tutto questo molto attuale. La campagna del profumo Bloom di Gucci pone alcune fanciulle, magre e leggiadre come silfidi, in un giardino che fiorisce come rifiorì la Terra quando Persefone tornò a Demetra.

Persino l’aridissimo asfalto di Nuova York si piega a questo potere femminile che come si diceva ha un rapporto profondo con l’acqua. Quando lo spot si ambienta in uno specchio d’acqua la fotografia dà una luce ambigua, magica, non collocabile in nessuna ora del giorno…

Le donne che nello spot hanno a che fare con i poteri della divinità lunare tramite il bagno lustrale sono in grado di far fiorire il mondo.

Ma attenzione all’immagine qua sopra perché vedremo più avanti quanto sia importante questo bagno e questa postura e come sia andata avanti e indietro nel tempo.

Dagli studi sul folklore di Propp ai cartoni di Walt Disney sappiamo anche che le principesse sono bionde come l’oro, metallo incorruttibile che viene dalle profondità della Terra e a lei torna come arredo funerario. Le acque sorgive che scaturiscono dalla Terra e l’oro ci dicono che la Principessa e il Drago se non sono parenti stretti hanno però degli interessi comuni partecipando a competenze contigue nella narrazione mitica. La domanda ora è: destinata dai miti e dalle leggende a nozze sacre, con chi le farà la Principessa, con San Giorgio o con il Drago? Anticipiamo, tanto per complicare la cosa, che il mito, che è poi la nostra guida in questa crociera, pone gli stessi identici personaggi femminili anche nell’area del Sole ma tutto questo lo affronteremo più avanti.

Un passo apparentemente di lato
Tutte le storie del mondo, e il quadro in esame non sfugge a questa regola, pongono delle domande ai loro protagonisti e ogni singola storia si declina nelle risposte date dalle narrazioni a queste domande. I protagonisti a loro volta sono divisi in categorie di appartenenza che sono Re, Guerrieri, Maghi e Amanti. Ai personaggi che vogliono farsi Re viene posta in sceneggiatura la domanda: che tipo di Regno vuoi e come pensi di crearlo? Dio e il Drago lo mostrano chiaramente: il Drago vuole un mondo alternativo alla civilizzazione dove instaurare il Caos primordiale (quello su cui danzava la Grande Madre o quello di prima della prima parola della Bibbia) tramite la devastazione (come l’Oscuro Signore di Moldor con i suoi Orchetti; come la Spectre con il Dottor No o Goldfinger; come il Lato Oscuro della Forza con la Morte Nera e Darth Vader), e Dio con l’equilibrio del Cosmo (come Gandalf con Aragorn e Frodo; come M con James Bond, come Obi Wan Kenobi con Luke Skywalker e sua sorella Laila).Come le ragazze di Mystic Pizza che deluse dagli uomini riescono a creare un piccole regno di solidarietà e affetto al femminile gestendo insieme una pizzeria, un luogo dove il prendersi cura dei clienti diviene metafora del prendersi cura dell’Uomo (inteso come razza e non come genere).

La domanda che invece viene posta al Guerriero, chiamato a difendere il regno, è: vuoi la pistola o il cannone? O preferisci la spada laser, il Kung Fu, la lancia, il mitra… magari uno Shuttle come in Armageddon con Bruce Willis, o una specie di nave – trattore per arrivare al centro della Terra come in The Core con Aaron Eckart e Hilary Swank… La missione del guerriero, come nel caso di San Giorgio nel quadro, è chiara: qualcosa o qualcuno minaccia l’integrità del Reame (mondo) e bisogna usare l’arma giusta per difendersi. In Basic Istinct, film che affronteremo più avanti, il collega poliziotto di Michael Douglas si chiede proprio all’inizio del film se la propria pistola sia abbastanza potente per far fuori i malviventi al primo colpo. La risposta a questa domanda è la trama stessa del film e la sua sorprendente conclusione.

Il Mago deve invece scegliere tra la lente di ingrandimento, il microscopio o l’acutezza della propria mente (Holmes, tenente Colombo, Signora in Giallo, Poirot Miss Marple ma anche CSI evidentemente). A differenza del Guerriero, il Mago arriva in sceneggiatura fatalmente dopo che ci è già scappato il morto (poi i morti possono diventare anche più di uno, naturalmente). Il suo compito non è infatti difendere il Regno ma ricucire la ferita inferta al Corpo Mistico del Re (la società nella sua interezza) scoprendo il colpevole della mutilazione avvenuta con un omicidio e sanandola con il potente esorcismo dell’assicurarlo alla Giustizia.

Il compito dell’Amante (di solito un personaggio femminile) è quello di ripopolare il Regno riempiendolo di bambini. Detta così sembra facile e anche divertente, in realtà è una delle domande più antiche del mondo e uno dei motori più potenti per mandare avanti le storie. Come si fa a ripopolare il mondo se la Principessa sta già nel letto ma solo per dormirci manco fosse in coma come nella Bella Addormentata? E se è stata rinchiusa al piano più alto di una torre con la porta sprangata, o continua ostinata a volersi chiamare Capuleti di cognome…o se si chiama Isotta ed è destinata in sposa a re Mark che per Tristano è più che un padre? E’ evidente che poi le cose finiscono in tragedia, non c’è da stupirsi. E vogliamo parlare di Ingrid Bergman (Notorius) che si innamora di un guerriero (Cary Grant) che per ragioni di stato la mette tra le braccia del capo dei cattivi. Insomma, è difficile fare figli in questi casi e la soluzione del problema fare figli è lo scioglimento di un nodo importante della storia.

Il rapporto tra Amante e Guerriero è un rapporto difficile
Utilizzeremo una sequenza apparentemente meno memorabile rispetto alle altre tratta da Ombre Rosse ma che aiuta a chiarire più in profondità quanto detto sopra. La vicenda del film è nota: un gruppo di passeggeri diversissimi tra loro per carattere e censo si ritrova in una diligenza che deve attraversare un territorio vasto e selvaggio e infestato da indiani in guerra. Tra i passeggeri ci sono Ringo evaso dal carcere e diretto a vendicarsi dei tre fratelli che gli hanno ucciso padre e fratello e lo hanno mandato in carcere testimoniando il falso e Dallas una prostituta cacciata a forza dal villaggio dalle Dame della Temperanza che trovavano la sua bellezza destabilizzante dei valori fondamentali. Durante una tappa forzata una viaggiatrice partorisce e Dallas l’assiste. Ringo, non indifferente alla bellezza della donna, rimane incantato dall’espressione di gioia che illumina il viso di Dallas quando questa tiene in braccio il neonato (ritorneremo su questa inquadratura più tardi a proposito dell’emanare luce propria, caratteristica degli Dei, da parte delle dive). La scena che segue, di impianto assolutamente teatrale, si svolge nella cucina della stazione di posta dove Dallas si appresta a preparare una bevanda corroborante per la puerpera che ha appena

Ringo la raggiunge e le. dice di averla ammirata prima con il nascituro in braccio. Ringo poi si avvicina a Dallas per porle una domanda personalissima che riguarda il loro futuro. Perché Dallas non va oltre il confine ad aspettarlo in una casetta dove lui la raggiungerà appena finito un lavoretto che ha da fare? Si tratta giusto di uccidere i tre assassini di suo padre e di suo fratelli. Mezz’ora al massimo, più il tempo di andare e venire, e poi potranno avere tanti bambini in proprio. Dallas, che ricordiamo sta gestendo un liquido che deve restituire alla puerpera linfa e forze, si gira verso Ringo indispettita se non proprio arrabbiata:

ma come fa un evaso dal carcere, con lo sceriffo nella stanza accanto, incamminato a farsi uccidere da tre lestofanti già pluriassassini a parlare di futuro in genere e di figli in particolare? Come si fa a popolare il mondo con un uomo morto? E davvero Ringo non sa che la pistola è un bel sostituto freudiano ma serve a fare morte non vita? Belle domande e Ringo si farebbe anche convincere se non fosse che il destino e gli Indiani in agguato non lo portassero inevitabilmente verso lo scontro mortale finale. E in tutto questo, per non essere meno ambigua della Principessa, Dallas non ha mai detto a Ringo della propria professione di prostituta e questo tema resta in attesa di scioglimento.

Il rapporto tra Amante e Bestia è, se possibile, anche più difficile
Ancora un esempio: il primo King Kong, quello del 1933, con Fay Wray. Un producer cinematografico ha affittato un battello con tutto l’equipaggio per recarsi con la troupe in una isola esotica a girare sequenze mozzafiato con fondali e comparse autentici. Al momento della partenza la prima attrice non si presenta ma il producer non si perde d’animo: si mette in cerca di un volto nuovo tra la folla e trova Fay Wray in fila alla mensa dei poveri in attesa di un pasto caldo. Reclutata al volo la prima attrice, la nave può partire. Si arriva nell’isola nel mezzo di una cerimonia misteriosa durante la quale gli aborigeni mostrano grande deferenza e timore nei confronti di una gigantesca palizzata che separa il villaggio dalla giungla più nera. Il producer ordina di riprendere la cerimonia ma gli indigeni si accorgono della loro presenza e, fatti prigionieri tutti i componenti della troupe, drogano Fay Wray e la offrono in sacrificio. Dalla giungla nera, questo Aldilà della palizzata, emerge gigantesco e spaventoso un gorilla che prende con sé la Wray e si lancia nell’oscurità.

Il secondo di bordo liberatosi organizza un inseguimento. Il mondo di là è una terra rimasta all’età della pietra e Kong deve battersi con creature antidiluviane per mantenere il possesso della sua preda che nel frattempo è svenuta per il terrore. Ora lo svenimento è una perdita dei sensi, una fuoriuscita dai sensi, una perdita di sé che può essere paragonata a un’estasi (ricordate lo spot Gucci?).

Questa particolare estasi produce degli effetti secondari che sedurranno Kong in una sequenza celebre: arrivato presso la sua tana Kong comincia a spogliare la Bella e viene sedotto dall’odore della sua biancheria intima al punto di odorarsi il dito.

Inutile dire che questa sequenza nella versione italiana fu censurata come pure il ritorno al “mondo civile” attraverso un bagno lustrale.

Davanti all’intensità del desiderio impossibile della Bestia anche Fay Wray non resta insensibile. Una curiosa e un tantino morbosa relazione si instaura tra i due e la donna sarà l’unica in grado di tenere assoggettato e mansueto (entro certi limiti) Kong così come la Principessa sembra avere lo stesso rapporto con il Drago. Nel film si esplicita in maniera chiara il ruolo di fascinazione reciproca che hanno la Wray e Kong, letteralmente la Bella e la Bestia, e che rende un poco più dialettica la postura ambigua della figura femminile nel quadro di Paolo Uccello.

Ancora un passo indietro, verso le origini
Ora all’iconauta viene spontanea una domanda: questa sequenza, con questa postura della Wray, con le conseguenze di un contatto, di una affinità elettiva, tutta basata sulla Natura e su nessun altro strumento culturale è nuova? E’ un’invenzione radicale degli sceneggiatori? La risposta è evidentemente no. L’arte e il suo figlioccio più industriale che è il cinema si nutrono di arte e di cinema, cioè di quanto fatto prima dell’epoca in cui ci si confronta coi materiali. Ancora una volta, ripeto, noi guardiamo appoggiandoci sulle spalle di ha guardato prima di noi e quindi – come suggeriscono Vogler, Kerényi e Graves, guardiamo al mito, la sostanza prima di tutte le narrazioni.

E’ più o meno dall’età omerica che due divinità maschili possono trasmettere l’estasi: Dioniso a cui competevano le Baccanti (Menadi) e Apollo che invece lavorava con le Sibille e con loro gestiva un’avviata attività oracolare con varie succursali.

Come si vede dalla comparazione delle immagini, la postura della fuoriuscita dai sensi della Wray (e dal buon senso) ha una base visiva molto antica che comincia con una rappresentabilità del mitologema. Dobbiamo a Warburg l’analisi dell’emozione trattenuta della Maddelana che trova sfogo in altra maniera, come nel quadro di Caravaggio:

Per poi proseguire, con un viaggio nel tempo, con l’estasi della beata Ludovica Alberoni di Bernini,

per passare poi attraverso le due estasi che Francesco Cairo, pittore barocco, dedica ad Erodiade quando ha in mano la testa di Giovanni il Battista decapitato.

Si potrebbe dire, guardando queste immagini, che la coppia Eros e Thanatos ha fatto un bel pezzo di cammino per conto suo prima di incontrare Freud. Ancora più interessante ai fini del nostro discorso, è però l’Estasi di Santa Teresa, sempre Bernini. Qua non solo ritroviamo temi e posture già analizzati ma appaiono temi ulteriori.

Il primo è quello del dardo che l’angelo tiene indirizzato verso Teresa: un attributo che i mistici testimoniano in forma di trafittura nell’estasi e che ha anche però una sua eco nel materiale mitico; “Giammai – recita Medea – o Afrodite mia signora, scaglia dall’arco tuo d’oro, contro di me uno strale avvelenato di passione”. Il secondo è dato dallo sfondo immanente creato da innumerevoli raggi d’oro.

Come detto prima, in età antica, dall’invasione degli Achei testimoniata a posteriori da Omero, erano Dioniso e Apollo le divinità in grado di essere raggianti e di operare la fuoriuscita dai sensi. Prima però le divinità che avevano questo potere erano Afrodite, Demetra e Cibele (declinazioni diverse della Grande Madre) che rendevano le donne umane prescelte raggianti e dotate di poteri magici ma, principalmente, dotate di un fascino irresistibile. Qualcosa di questo è rimasto nel cinema dell’età delle dive.

Esclusa Dallas (l’ultima della serie) che è raggiante per aver assistito a una nascita come si vede dall’espressione di tutte le altre dive il mistero della fascinazione è ben chiaro e presente ed è altrettanto chiaro che non parliamo di un gioco per bambini: dopo aver incontrato donne così le cose non potranno più essere come prima, almeno in una sceneggiatura.

La fascinazione è però soltanto una delle componenti del mitologema. Queste donne eccezionali, e qua parleremo del rapporto con la Bestia di Circe, Medea a Arianna, avevano altri attributi in comune: tutte abitano presso la soglia tra l’umano e l’altro dall’umano, tutte hanno una sapienza che consente di avventurarsi nell’Altrove ma, principalmente, consente di tornarne, tutte hanno il potere di trasformare l’uomo in animale custodiscono cioè un potere che deriva dalla Natura: il potere della trasmutazione. Sono capaci di operare la metamorfosi tra organico e inorganico, tra organico e organico e tutte hanno un rapporto con gli animali che rimanda alla Potnia Theron. A queste aggiungiamo le Sibille che sedendo su quella che fu la tana di Pitone profetizzavano il futuro e il rapporto con le donne, sapienza più che umana, soglia dell’aldilà, è scritto per sempre. Senza di loro i Guerrieri Ulisse, Giasone, Teseo ed Enea non saprebbero cavarsela e il destino della loro parte di mondo non si compirebbe. Anche Dallas assistendo la puerpera presidia la soglia del ‘prima della vita’ e questo mondo. Dallas è destinata a restare (anche se prostituta e fascinosa) un isolato esempio positivo. Qui di seguito Circe con i suoi amanti

Medea prima dell’omicidio dei figli e la successiva partenza su di un carro tirato da draghi.

E finalmente Arianna anche lei rilassata in compagnia di fiere.
In particolare quelle pantere profumate che annunciano l’arrivo di Dioniso (Detienne).

Ricordiamo comunque che nel cammino storico verso il basso dalla divinità alla semi divinità con poteri magici, come fosse una fata, al lato oscuro del calderone e delle pozioni magiche della strega, le ragazze che abbiamo citato non hanno esitato a uccidere e a uccidere anche parenti stretti come un fratellastro, un fratello e due figli. Tutte hanno un duplice nome a cui si abbina una duplice funzione: quella diurna, solare e quella notturna, lunare. Quest’ultima in particolare dona il potere sull’acqua e sui riti della pentola ribollente, in ultima sopravvivenza, i filtri. Da una parte quindi il legame con l’Eroe solare e dall’altra il vincolo di parentela, attraverso la Madre Terra, con il Drago. In qualsiasi momento Medea, Circe e Arianna possono mostrare il loro volto luminoso così come il volto oscuro e terrificante delle creature della Grotta, L’ambiguità che potremmo definire archetipale e che abbiamo visto traversare tutte le epoche continuando a essere fonte di ispirazione arriva ad alimentare anche la grande macchina creatrice di miti che è il cinema. Riprendendo, dopo quello diurno delle foto di dive viste prima, l’aspetto notturno e nascosto creando il personaggio della ‘femme fatale’. Non faremo evidentemente l’elenco di tutti i film in cui la donna dai due volti svolge il suo ruolo, citiamo solo La fiamma del peccato dove Barbara Stainwick nonostante la frangetta contro natura seduce un assicuratore fantozziano e lo induce a commettere per lei un omicidio….

e Il Mistero del Falcone Maltese in cui l’assassina fa innamorare di sé il Guerriero, l’investigatore Sam Spade (Bogart) ma che comunque non esita, anche soffrendo, ad assicurarla alla giustizia. Ma il film che più riprende tutti i temi trattati, dal mito alle sue raffigurazioni, è Basic Istinct. All’inizio del film Douglas e un suo collega, entrambi poliziotti, stanno discutendo sul calibro delle pistole che dovrebbero avere e sulla libertà di uso che dovrebbe essere loro concessa. Esattamente quello che i manuali di sceneggiatura fanno domandare a Chuck Norris o a James Bond. Douglas ha però qualche perplessità: il loro mestiere non può esaurirsi in quello. Il destino li porta ad investigare su alcuni omicidi che hanno come vittime uomini uccisi con un punteruolo da ghiaccio. Viene trovata una sospettata (Sharon Stone) che viene portata in commissariato per un interrogatorio.

A parte una mesta considerazione sulla differenza che corre tra un commissariato di Nuova York con uno magari del Tuscolano a Roma, questa è la sequenza più ricordata del film: la fascinosa e numinosa Stone accavalla le gambe e non indossa biancheria intima. Oltre la reazione di ormoni, ferormoni e tutto il resto a Douglas si attiva l’istinto basico di poliziotto che gli dice che Sharon è l’assassina ma che può essere redenta e riportata dalla parte della Luce. Il film va via come deve andare seguendo una splendida sceneggiatura, la seconda più pagata nella storia del cinema fino alla sequenza finale dove la macchina da presa inquadra un punteruolo sotto un letto…

Sopra il letto, fuori dall’inquadratura sentiamo la voce di Douglas e della Stone che discutono: “E adesso?” chiede lei: “Adesso scoperemo come conigli e faremo tanti figli”, risponde lui.

In campo entra la mano di lei che cerca il punteruolo sotto il letto. Lui, sempre guidata dal suo istinto, intuisce e dice: “Va bene, allora ci limiteremo a scopare come conigli” e la mano di lei si ritira uscendo di inquadratura.

Dalla Principessa, speriamo ora finalmente protagonista a pari titolo del quadro, a Dallas e poi alla Stone e a Dakota Johnson per Gucci, come si vede il mito ha lavorato parecchio. Quello che possiamo affermare, confortati da Barthes, Campbell e Hillman (ma con un affetto particolare per Barthes). è che continuerà a lavorare per sempre.