Le Carceri

di:
Luigi Ciorciolini

«All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io son vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna, udrà con gli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose: Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione» (G. Leopardi, Pensiero n. 1118, in Zibaldone, Newton Compton, Roma, 2001).

Nel 1857 Manet dipinge un quadro dedicato apparentemente all’Esposizione Universale di Parigi.

In realtà nel quadro si vedono la compagna di Manet a cavallo, il figlio di questa, il giardiniere di famiglia e un discreto numero di conoscenti. Insomma, come si direbbe a Roma, Manet più che l’Esposizione ha dipinto un bel po’ di fatti propri. Lasciamo l’analisi del quadro a “Visto” o “Novella 2000” e guardiamo invece in alto a destra dove si vede un pallone aerostatico in volo.
Nella navicella di quel pallone c’è Felix Nadar, pioniere della fotografia.

Da li Nadar scatterà alcune fotografie che consentiranno di vedere per la prima volta nella storia dell’uomo una metropoli dall’alto: quello che Baudelaire aveva intuito per via poetica di Parigi è ora reso visibile grazie a un processo chimico. Qua lasciamo per un poco la nostra sequenza di immagini per seguire la rotta indicata da Manfredo Tafuri nel suo La Sfera e il Labirinto perché la metropoli che esonda dall’inquadratura e moltiplica le prospettive è una Parigi estetizzata. In questo senso la foto di Parigi si colloca tra le Prigioni del Piranesi e la lettura che delle stesse dà Ejzenstein, riportato nel testo di Tafuri:

«Un improvviso salto qualitativo di proporzioni e di spazio» Scrive Ejzenstein delle “Prigioni” di Piranesi «Più esattamente si dissolvono gli oggetti, come elementi fisici della raffigurazione». In altre parole Nadar dimostra che le ‘Invenzioni’ di Piranesi anticipano la falsità dell’equilibrio della rappresentazione nella Modernità che trova la sua codifica nella teorizzazione del montaggio cinematografico proprio da parte di Ejzenstein.
Lasciamo per un poco questa rotta e torniamo a Piranesi che ha studiato a fondo le opere pubbliche della Roma repubblicana e ne ha tratto innanzi tutto la convinzione che l’architettura può e deve rimontare lo svantaggio che nella sua epoca aveva nei confronti di pittura e scultura. Piranesi introduce quindi l’Utopia nell’architettura come valore nuovo che serve a esaltare l’immaginazione e a creare modelli validi nel futuro per i loro valori nuovi e che di conseguenza sono di per sé una critica del presente (G. B. Piranesi, Prima parte di architettura e prospettiva, Roma, 1743).
Ma la Soria in queste cose è feroce e quella del Capitale lo è in maniera particolare: come Debord aveva fatto notare che i giochi provocatori dei Surrealisti erano diventati la guida alle riunioni degli impiegati delle grandi aziende americane e rinominati «brainstorming», così la grande intuizione di Piranesi diviene la guida all’Utopia del Capitale che si concretizza nel Moderno a Parigi.

Il ferro e il vetro consentono la realizzazione di quei grandi manufatti estetizzati dalla moltiplicazione delle prospettive e dalle grandi dimensioni, ma, più importante di tutto, abbattibili ogni anno per essere ogni anno ricostruiti: non dimentichiamo che moderno vuol dire alla moda e l’Utopia del nuovo supera la vecchia, sottoponendola a critica.

E’ dunque questa la radice che ci portiamo dentro, la gemma sempre pronta a fiorire e sempre in maniera inaspettata ancora oggi, anche se qua la vediamo declinata solo per i grandi magazzini.

Rientriamo ora nella rotta iconautica iniziale, innescata da Manfredo Tafuri. Il saggio di Ejzenstein su Piranesi è del ‘46-’47, lo studio dell’opera risale a molto prima e se ne possono vedere gli effetti nelle inquadrature di Sciopero che è del 1925. A queste accostiamo una prima inquadratura di Metropolis, di Fritz Lang, del 1927.

Non c’è dubbio che l’ispirazione venga dalla Torre di Babele filtrata attraverso il progetto del Rockfeller Center con i suoi giardini pensili (roof gardens) e le sue vie sospese ma sembrano far capolino Sciopero e, filtrato da questo, il Piranesi.

Solo un’ ultima annotazione al margine di questa mappa sulle ascendenze di Metropolis: credo si possa serenamente sostenere che la macchina che genera il potere nel film sia ispirata con sovradimensionamento piranesiano a una macchina esposta all’Esposizione Universale di Parigi.

Questa rotta non ha e non potrebbe mai avere la presunzione di rendere conto in maniera puntuale di quanto Piranesi abbia influito sull’immaginario dei secoli succedutisi. Qua ci limitiamo a sfiorare alcuni film come Intrigo internazionale di Hitchcock del 1959, in cui le dimensioni dell’atrio del palazzo dell’ONU fanno semplicemente scomparire le figure umane…

La biblioteca borgesiana de Il nome della Rosa di Annaud del 1986…

E le scale mobili del castello scuola di Harry Potter del 2001…

Aggiungiamo solo due tappe a questa mappa in perenne completamento. La prima è quella dedicata alla stazione ferroviaria di Berlino e realizzata recentemente dallo scrittore e illustratore olandese Tais Teng.

Le altre sono immagini estratte da sequenze di un documentario che ho girato nella chiesa di San Lorenzo alle Colonne a Milano.

Gli spigoli, i capitelli, gli anfratti generati dagli archi che nascono e finiscono sempre oltre i limiti dell’inquadratura. Le altissime colonne più che umane della chiesa di San Lorenzo alle Colonne di Milano sono le ‘inquadratura-cellula’ di Ejzenstein: il loro moltiplicarsi genera il racconto del corpo interno della chiesa.

Dedicato a Luigi Malerba a cui devo il dono del “secondo orizzonte” e di avermi insegnato a cercarlo oltre il sentire del tempo.